"Minimum quod potest haberi de cognitione rerum altissimarum, desiderabilius est quam certissima cognitio, quae habetur de minimis rebus."

"Das Geringste an Erkenntnis, das einer über die erhabensten Dinge zu gewinnen vermag, ist ersehnenswerter als das gewisseste Wissen von den niederen Dingen"

(Thomas von Aquin: I, 1, 5 ad 1)

22. Februar 2012

Lesestoff für die Fastenzeit

Man könnte mit der Vorbereitung auf das Jahr des Glaubens beginnen. Lesestoff ist es ja genug.

Stundengebet

"Die Synode hat den Wunsch geäußert, dass sich diese Art des Gebets im Gottesvolk stärker verbreiten möge, besonders das Gebet der Laudes und der Vesper. Eine solche Ausweitung wird von selbst zu einer größeren Vertrautheit der Gläubigen mit dem Wort Gottes führen."

Das wäre auch ein Vorsatz für die Fastenzeit. Als Ansporn gibt´s Blogs für Anfänger und Fortgeschrittene im Stundengebet beten. Tagzeiten und Bändelblog.


Hier einige Horen als mp3 für unterwegs.


19. Februar 2012

Fastenzeit

Das Wort Fastenzeit, mit dem wir im Deutschen die Tage zwischen Aschermittwoch und Ostern benennen, sagt nur einen kleinen Teil dessen aus, was die Kirche mit dieser Zeit meint. Ursprünglich ist dies die Zeit der Taufspendung, die Zeit der Christwerdung also, die man nicht glaubte in einem kurzen Moment vollziehen zu können, sondern nur als einen Weg der Verwandlung, der „Bekehrung“, den der Mensch Schritt für Schritt zu gehen hat. Wenn man später in diesen Weg die Büßer und schließlich die ganze Kirche mithineinnahm, so drückt sich darin das Bewusstsein aus, dass man diesen Weg nicht mit einem Mal zu Ende gehen kann; er umfasst unser ganzes Leben, muss immer von neuem beschritten werden. So will Fastenzeit dies in unserem Bewusstsein und in unserem Leben gegenwärtig halten, dass Christsein sich nur als immer neues Christwerden vollziehen kann, dass es nie ein abgeschlossen hinter uns liegendes Geschehen ist, sondern immer neue Einübung verlangt.

J. Ratzinger: Die Zeit der vierzig Tage, in: Dogma und Verkündigung, München 1973, 323–330, hier: 323.

5. Februar 2012

in Seiner Nähe gehen


Wir sollen daran denken, daß der Herr in der Kirche sozusagen immer leidet und unsere Nähe sucht, daß wir in seine Nähe gehen und miteinander den Weg finden.
 Benedikt XVI, 1.2.2012

DOMENICA DI SETTUAGESIMA- Paolo VI

Domenica, 14 febbraio 1965


Riserviamo a questo momento della nostra preghiera e meditazione il pensiero sopra il  rano del Santo Vangelo che la Chiesa ci presenta in questa particolare Domenica che, come saprete, nel linguaggio liturgico si definisce di Settuagesima. Essa ci informa e dimostra che siamo a una precisa distanza da una mèta che andrà avvicinandosi con la Sessagesima, con la Quinquagesima e quindi con il periodo della Quaresima, che sarà preparazione e prologo a quello della Pasqua di Risurrezione.

A ben riflettere, in questa Domenica cambia interamente il tono della preghiera e della meditazione. Il tempo dell’Avvento e del Natale ci ha portato alla ricerca di Dio, alla conoscenza del Figlio suo unigenito, Gesù Cristo, alla sua Rivelazione con la festa dell’Epifania e con le altre in seguito celebrate.


Ora cambia l’obbiettivo: siamo piuttosto alla indagine, all’esame dell’uomo. In altri termini, nel periodo, che oggi si inizia, la nostra preghiera avrà per tema fondamentale la sorte dell’uomo, la sua salvezza, il mistero della sua redenzione, incominciando proprio da queste domeniche che fanno da prefazione alla Quaresima, per richiamarci ai grandi temi: vero tessuto di sublime pagina religiosa.

Il primo di essi a presentarsi in questa Domenica è proprio la condizione dell’uomo. Chi recita il Breviario - ove da oggi le lezioni del primo notturno sono della Genesi -, chi medita sull’Epistola odierna, vede molto bene in che modo si presenta l’uomo, dopo. la colpa originale. Non è certo una condizione di felicità, non di perfezione; e nemmeno siamo in uno stato terminale completo, cioè di riposo. Si tratta, invece, di uno stato iniziale, che esige sviluppo, opere, educazione, fatica; insomma, questa la realtà, è uno stato infelice. Perché? Perché siamo peccatori; perché abbiamo ereditato una esistenza afflitta dal peccato d’origine; e, inoltre, l’abbiamo aggravata con le nostre colpe; abbiamo cioè reciso il filo della vita, quello che ci congiunge a Dio. Perciò andremmo incontro a sicura completa rovina se il nostro pellegrinaggio terreno si svolgesse senza l’intervento salvatore di Cristo. Privi di questo infinito dono di Dio, saremmo coloro che la Sacra Scrittura chiama «filii irae», i figli della maledizione.